mercoledì 26 ottobre 2016

GUERRA E ARCHEOLOGIA IN GRECIA DURANTE L'OCCUPAZIONE NAZIFASCISTA




L’anniversario del NO, che si celebra il 28 ottobre, è l’occasione per rileggere una delle pagine più fosche della storia greca moderna: quella riguardante i furti, i vandalismi e le razzie subite dal patrimonio archeologico e monumentale ellenico e in particolare dai tesori dell’Acropoli, che subì i danni maggiori. A denunciarli fu soprattutto Ioannis Miliadis, sovrintendente dell’Acropoli dal 1940 al 1960. Ma a quanto pare nessuno aveva l’autorità necessaria per opporsi agli ufficiali e ai soldati tedeschi e italiani. A raccontare queste vicende è l’accademico di Grecia e segretario generale della Società Archeologica Ateniese Vasilios Petrakos, autore del volume “Antichità elleniche durante la guerra 1940-1944”, vera e propria miniera di informazioni relative al trattamento riservato dagli invasori ai tesori dell’antichità classica ma anche all’atteggiamento rigoroso degli archeologici greci, inflessibilmente fedeli ai propri principi. Fu allora infatti che il servizio archeologico si trovò “nella situazione paradossale di dover distruggere l’opera che generazioni di archeologi greci avevano contribuito a realizzare”: ossia smantellare musei e raccolte artistiche, e nascondere i reperti in grotte, magazzini e rifugi sotterranei. L’Acropoli era il monumento per eccellenza dell’antichità classica dove tutti i soldati stranieri avrebbero voluto farsi immortalare. Inoltre la collina del Partenone, assieme a quella del Licabetto, fu considerata la postazione ideale per collocarvi i mezzi della difesa antiaerea con i relativi proiettori. Nel luglio del 1941 le autorità greche ne ottennero la rimozione, tuttavia un mese più tardi i soldati italiani trasportarono sull’Acropoli diverse mitragliatrici e munizioni mentre nel mese di ottobre costruirono anche delle basi di cemento. La permanenza dei soldati sull’Acropoli e nel vecchio museo ebbe perlopiù conseguenze disastrose per i monumenti della Rocca Sacra. “Nella sala dei frontoni arcaici l’esercito invasore collocò la lavanderia e le cucine mentre il resto del museo fu trasformato in caserma. L’Acropoli si trasformò in area militare e i soldati che vi dimoravano non manifestavano alcun rispetto. Accendevano falò per prepararsi il rancio, sversavano la benzina, la nafta e l’olio lubrificante dei macchinari sul marmo e naturalmente ne adibivano gli angoli più nascosti a toilette improvvisata. Secondo alcuni testimonianze tale trattamento fu riservato persino al Partenone e ai Propilei. Quanto agli archeologi greci, rimasero senza parole vedendo i soldati italiani che si facevano fotografare abbracciati alle Cariatidi ma soprattutto il fatto che sull’Acropoli salivano anche le loro compagne occasionali. A ciò si aggiunga che molti soldati italiani avevano l’abitudine di staccare dai monumenti frammenti di marmo da conservare come souvenir o di incidervi il proprio nome”. Ma già l’11 novembre 1940 il ministero dell’Istruzione aveva fatto pervenire ai sovrintendenti una circolare con le modalità di conservazione dei reperti. Le maestranze erano limitate, i mezzi anche, ciononostante l’operazione volta al salvataggio dei reperti archeologici, coordinata da Gheorghios Ikonomos, segretario della Società Archeologica, fu coronata dal pieno successo. Le grandi statue di bronzo del Museo Archeologico Nazionale furono imballate una per una entro involucri speciali e collocati all’interno di cassoni mentre i reperti vascolari e in generale gli oggetti più piccoli furono conservati nei sotterranei della nuova ala; dal canto loro, i preziosi reperti d’oro, assieme a quelli d’oro e d’avorio venuti alla luce a Delfi durante gli scavi del 1939,  furono nascosti nel caveau della Banca di Grecia. Anche le sculture in marmo furono trasferite nei sotterranei della nuova ala del museo. “Trentacinque cassoni furono nascosti nella grotta di Enneàkrounos e altre ventidue nella cosiddetta prigione di Socrate [una grotta calcarea ai piedi del colle di Filopappo]. Le statue più grandi e i bassorilievi furono sepolti entro trincee scavate nelle sale stesse in cui erano esposti: tra questi la Themis di Cherèstrato, il rilievo di Eleusi, il kouros di Mègara, l’Ermes di Andros, la sacerdotessa Aristonoe di Ramnunte, i kouroi di Capo Sunio”. Nel frattempo, proprio il 28 ottobre, era cominciato anche l’imballaggio dei reperti del Museo Numismatico, che fu completato il 4 novembre riempiendo ben 61 cassoni. Quanto ai reperti del Museo dell’Acropoli, si preferì la soluzione delle grotte. In parallelo, all’interno del museo fu scavata “una grande fossa dentro la sala del Partenone”. Secondo i protocolli dell’operazione “sulla Rocca dell’Acropoli, lungo il lato nord del Partenone, furono scavate quattro trincee”, ove i reperti furono collocati uno sopra l’altro. Quanto agli oggetti più preziosi del Museo Bizantino e altri, che non erano stati trasferiti alla Banca di Grecia, questi furono nascosti entro fossati scavati nel cortile del Museo e nelle cantine del palazzo della Duchessa di Piacenza. Le sculture del Museo del Ceramico furono nascoste dentro due buche aperte dietro i monumenti funebri di Dexileos e di Demetria e Pamfile, mentre quelli del Museo Archeologico del Pireo furono sepolti dentro “una profonda conduttura semicircolare dell’orchestra del teatro antico, che sorge presso il museo”. L’auriga di Delfi fu spezzato in due parti e riposto in cassoni pieni di paglia e di bambagia, e insieme ad altri reperti preziosi “furono nascosti dentro i due fossati che sono ancora visibili nel giardino del museo di Delfi”. Nell’arco di tempo che va dal 1940 al 1944 presso il servizio archeologico ellenico operavano scienziati di chiara fama, che spesso rimanevano profondamente delusi dal comportamento dei colleghi stranieri che lavoravano in Grecia e che adesso esibivano un volto assai diverso. "Gli stranieri", osserva Vasilios Petrakos, “solevano dimenticare che l’occupazione militare non implicava alcun diritto sul Paese e sui suoi monumenti, oltre a quelli estorti con la violenza”. Il resto è storia: scavi abusivi, atteggiamenti oltraggiosi, circolari dal tono minaccioso e pressioni nei confronti degli ex amici e colleghi. A Creta andò distrutta la tomba regale di età minoica di Isòpatoi, a Delos il 6 settembre 1941 l’italiano Giovanni Duca, comandante militare delle Cicladi, disse in tono sprezzante: “Gli ufficiali hanno saccheggiato le vetrine del museo, i soldati si sono appropriati di circa millecinquecento dracme dal cassetto della biglietteria”. Qualche mese più tardi al Museo del Ceramico, durante la visita guidata di un gruppo di tedeschi, fu trafugata una tavoletta di argilla a figure nere raffigurante la deposizione di un defunto. Kurt Gebauer, responsabile del gruppo, “non ritenne necessario né suo dovere di collega avvertire il direttore del Museo per un atto tanto grave”.

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