sabato 27 febbraio 2016

KYRIAKOS PITTAKIS: ALLE RADICI DELL'ARCHEOLOGIA




Nel post del 20 gennaio di Voci dall'agorà si è ricordato Heinrich Schliemann, il padre dell'archeologia moderna, la cui epopea rappresenta, oltre che un'ardita avventura dello spirito, anche un'avvincente storia personale. Ma a lavorare in Grecia non sono stati soltanto archeologi stranieri. Determinante, nella conservazione del patrimonio archeologico greco, fu l'azione dei greci stessi, che con le antichità vivevano (e vivono) a fianco a fianco. Uno dei pionieri dell'archeologia greca fu l'ateniese Kyriakòs Pittakis (1798-1863), tra i fondatori della Società archeologica greca (1833) e primo sovrintendente alle antichità dello Stato neogreco nel 1836, anno in cui fu anche decisa la fondazione del Museo dell'Acropoli. Lo Stato greco contava appena quattro anni di vita (e venticinque ne erano trascorsi dall'inizio della guerra d'indipendenza, nel 1821). Pittakis fu autore di un libro topografico sull'Attica antica (1835) e raccolse numerose epigrafi, che costituirono la base della raccolta attica del Corpus inscriptionum graecarum (completata nel 1877). L'architetto tedesco Leo fon Klenze, giunto in Grecia al seguito della corte bavarese di re Ottone, così descrive la passione di Pittakis per il suo lavoro e la situazione disperata in cui gli amanti delle antichità si trovavano a lavorare: "Quando vedeva un estraneo avvicinarsi a un reperto, saltava di ramo in pietra per stornare il pericolo... Soltanto grazie al suo amore smisurato ed entusiasta per l'archeologia quest'uomo straordinario riusciva ad affrontare le difficoltà pressocché insuperabili inerenti al suo lavoro. Che si trattasse di una fatica di Sisifo me ne rendevo conto anch'io. Poco tempo prima del mio arrivo, un inglese spezzò in due a martellate, sotto lo sguardo di Pittakis in persona, una delle meravigliose sculture, da poco scoperte, che ornavano il fregio del Partenone. Un'altra volta invece corse a chiedere il mio aiuto: alcuni ufficiali di una fregata americana di stanza al Pireo erano saliti sull'Acropoli con l'intenzione di tagliare e impacchettare le splendide sculture dell'Eretteo per portarle via con sé. Tale atteggiamento era talmente diffuso che dei monumenti dell'Acropoli, di questo passo, c'era il pericolo che non restasse più niente. Ma più Pittakis, Ross e io ce ne preoccupavamo, meno sembravano preoccuparsene le potenze straniere. Un rappresentante di queste ultime ebbe modo di dirmi una volta, a Nafplio, che un brigantino austriaco era approdato qualche tempo prima all'isola di Delos, che com'è noto, è disabitata. Ha aggiunto, in tono trionfalistico, che i circa quaranta marinai sbarcati, munitisi di tutti gli attrezzi e dei mezzi di trasporto necessari, hanno cominciato a caricare a bordo tutti i reperti che trovavano. Infine, salpata l'ancora, sono tornati a casa loro".  

sabato 6 febbraio 2016

LA RIVOLUZIONE DIMENTICATA


Il titolo del post si ispira al saggio di Lucio Russo pubblicato da Feltrinelli alcuni anni orsono. La "rivoluzione dimenticata" è quella tecnologica che ebbe luogo nel mondo ellenistico (IV-I sec. a.C.). Intorno al Museo di Alessandria, ma anche a Pergamo e ad Antiochia, le nuove città del mondo greco (che si affiancavano ad Atene, ancorata a una concezione più teoretica della cultura) fiorirono scienziati, architetti e ingegneri, che riuscirono a costruire automi e altri congegni sofisticati basati sull'energia propellente del vapore. Polibio descrive persino una sorta di automobile che funzionava con il vapore acqueo, altre fonti parlano di automi volanti mentre a tutti noto è il Meccanismo di Anticitera, spesso ritenuto il primo "computer" del mondo antico (conservato al Museo Archeologico di Atene). Finora la storiografia scolastica ripeteva che il progresso tecnologico del periodo ellenistico non ebbe seguito sia a causa della mancanza di energia propellente sia per una questione di mentalità, in quanto i greci in questi congegni avrebbero visto soprattutto dei giocattoli. Lucio Russo, alla luce di una rilettura delle fonti, rileva invece che la "rivoluzione industriale ellenistica" non ebbe luogo soprattutto a causa della conquista romana, che decapitò letteralmente l'intellighenzia greca e dissolse gli Stati ellenistici trasformando intellettuali, ingegneri e scienziati in professori di lingua greca per i rampolli delle famiglie gentilizie romane, interessate più al prestigio esteriore che ai contenuti della cultura. Non tutto però andò perduto. A Costantinopoli, capitale dell'impero romano d'Oriente, gli scienziati greci costruirono portentosi marchingegni che lasciavano a bocca aperta le ambascerie straniere: troni semoventi, uccelli meccanici, automi a forma di leone e alberi metallici che si coprivano di foglie. Per non dimenticare il misterioso "fuoco greco" ("υγρό πυρ" ossia fuoco liquido), che per secoli protesse la Città dagli attacchi dei nemici. Ma anche di questa tecnologia (questa sì avente un carattere soprattutto ludico) nulla rimase: nel 1204 i Crociati distrussero il Sacro Palazzo imperiale e incendiarono la ricchissima biblioteca annessa, condannando una volta di più all'oblio questa "rivoluzione". Oggi il museo della Tecnologia greca antica, nella località di Katàkolon (Elide, Peloponneso) fa rivivere gli splendidi congegni ellenistici mediante una serie di ricostruzioni basate sulle opere e sulle testimonianze letterarie superstiti (il video si riferisce alla "ancella automatica" progettata da Filone di Bisanzio). Il Museo ha di recente organizzato mostre itineranti ad Atene, a Basilea e a Monaco suscitando l'interesse del vasto pubblico nei confronti della "rivoluzione dimenticata".