L’anniversario del NO, che si celebra il 28 ottobre, è l’occasione per
rileggere una delle pagine più fosche della storia greca moderna: quella
riguardante i furti, i vandalismi e le razzie subite dal patrimonio
archeologico e monumentale ellenico e in particolare dai tesori dell’Acropoli,
che subì i danni maggiori. A denunciarli fu soprattutto Ioannis Miliadis, sovrintendente dell’Acropoli dal 1940 al 1960. Ma a quanto
pare nessuno aveva l’autorità necessaria per opporsi agli ufficiali e ai
soldati tedeschi e italiani. A raccontare queste vicende è l’accademico di
Grecia e segretario generale della Società Archeologica Ateniese Vasilios
Petrakos, autore del volume “Antichità elleniche durante la guerra 1940-1944”, vera e propria miniera di informazioni relative al trattamento riservato dagli invasori ai tesori
dell’antichità classica ma anche all’atteggiamento rigoroso degli archeologici
greci, inflessibilmente fedeli ai propri principi. Fu allora infatti che il
servizio archeologico si trovò “nella situazione paradossale di dover
distruggere l’opera che generazioni di archeologi greci avevano contribuito a
realizzare”: ossia smantellare musei e raccolte artistiche, e nascondere i
reperti in grotte, magazzini e rifugi sotterranei. L’Acropoli era il monumento
per eccellenza dell’antichità classica dove tutti i soldati stranieri avrebbero
voluto farsi immortalare. Inoltre la collina del Partenone, assieme a quella
del Licabetto, fu considerata la postazione ideale per collocarvi i mezzi della
difesa antiaerea con i relativi proiettori. Nel luglio del 1941 le autorità
greche ne ottennero la rimozione, tuttavia un mese più tardi i soldati italiani
trasportarono sull’Acropoli diverse mitragliatrici e munizioni mentre nel mese
di ottobre costruirono anche delle basi di cemento. La permanenza dei soldati
sull’Acropoli e nel vecchio museo ebbe perlopiù conseguenze disastrose per i
monumenti della Rocca Sacra. “Nella sala dei frontoni arcaici l’esercito invasore
collocò la lavanderia e le cucine mentre il resto del museo fu trasformato in
caserma. L’Acropoli si trasformò in area militare e i soldati che vi dimoravano
non manifestavano alcun rispetto. Accendevano falò
per prepararsi il rancio, sversavano la benzina, la nafta e l’olio lubrificante
dei macchinari sul marmo e naturalmente ne adibivano gli angoli più nascosti a
toilette improvvisata. Secondo alcuni testimonianze tale trattamento fu
riservato persino al Partenone e ai Propilei. Quanto agli archeologi greci,
rimasero senza parole vedendo i soldati italiani che si facevano fotografare
abbracciati alle Cariatidi ma soprattutto il fatto che sull’Acropoli salivano
anche le loro compagne occasionali. A ciò si aggiunga che molti soldati
italiani avevano l’abitudine di staccare dai monumenti frammenti di marmo da
conservare come souvenir o di incidervi il proprio nome”. Ma già l’11 novembre
1940 il ministero dell’Istruzione aveva fatto pervenire ai sovrintendenti una
circolare con le modalità di conservazione dei reperti. Le maestranze erano
limitate, i mezzi anche, ciononostante l’operazione volta al salvataggio dei
reperti archeologici, coordinata da Gheorghios Ikonomos, segretario della
Società Archeologica, fu coronata dal pieno successo. Le grandi statue di
bronzo del Museo Archeologico Nazionale furono imballate una per una entro
involucri speciali e collocati all’interno di cassoni mentre i reperti
vascolari e in generale gli oggetti più piccoli furono conservati nei sotterranei
della nuova ala; dal canto loro, i preziosi reperti d’oro, assieme a quelli
d’oro e d’avorio venuti alla luce a Delfi durante gli scavi del 1939, furono nascosti nel caveau della Banca di
Grecia. Anche le sculture in marmo furono trasferite nei sotterranei della
nuova ala del museo. “Trentacinque cassoni furono nascosti nella grotta di
Enneàkrounos e altre ventidue nella cosiddetta prigione di Socrate [una grotta
calcarea ai piedi del colle di Filopappo]. Le statue più grandi e i
bassorilievi furono sepolti entro trincee scavate nelle sale stesse in cui
erano esposti: tra questi la Themis di Cherèstrato, il rilievo di Eleusi, il
kouros di Mègara, l’Ermes di Andros, la sacerdotessa Aristonoe di Ramnunte, i
kouroi di Capo Sunio”. Nel frattempo, proprio il 28 ottobre, era cominciato
anche l’imballaggio dei reperti del Museo Numismatico, che fu completato il 4
novembre riempiendo ben 61 cassoni. Quanto ai reperti del Museo dell’Acropoli,
si preferì la soluzione delle grotte. In parallelo, all’interno del
museo fu scavata “una grande fossa dentro la sala del Partenone”. Secondo i protocolli
dell’operazione “sulla Rocca dell’Acropoli, lungo il lato nord del Partenone,
furono scavate quattro trincee”, ove i reperti furono collocati uno sopra
l’altro. Quanto agli oggetti più preziosi del Museo Bizantino e altri,
che non erano stati trasferiti alla Banca di Grecia, questi furono nascosti entro
fossati scavati nel cortile del Museo e nelle cantine del palazzo della
Duchessa di Piacenza. Le sculture del Museo del Ceramico furono nascoste dentro
due buche aperte dietro i monumenti funebri di Dexileos e di Demetria e Pamfile,
mentre quelli del Museo Archeologico del Pireo furono sepolti dentro “una
profonda conduttura semicircolare dell’orchestra del teatro antico, che sorge presso il museo”. L’auriga di Delfi fu spezzato in due parti e
riposto in cassoni pieni di paglia e di bambagia, e insieme ad altri reperti
preziosi “furono nascosti dentro i due fossati che sono ancora visibili nel
giardino del museo di Delfi”. Nell’arco di tempo che va dal 1940 al 1944 presso
il servizio archeologico ellenico operavano scienziati di chiara fama, che
spesso rimanevano profondamente delusi dal comportamento dei colleghi stranieri
che lavoravano in Grecia e che adesso esibivano un volto assai diverso. "Gli stranieri", osserva Vasilios
Petrakos, “solevano dimenticare che l’occupazione
militare non implicava alcun diritto sul Paese e sui suoi monumenti, oltre a
quelli estorti con la violenza”. Il resto è storia: scavi abusivi,
atteggiamenti oltraggiosi, circolari dal tono minaccioso e pressioni nei
confronti degli ex amici e colleghi. A Creta andò distrutta la tomba regale di
età minoica di Isòpatoi, a Delos il 6 settembre 1941 l’italiano Giovanni Duca,
comandante militare delle Cicladi, disse in tono sprezzante: “Gli ufficiali
hanno saccheggiato le vetrine del museo, i soldati si sono appropriati di circa
millecinquecento dracme dal cassetto della biglietteria”. Qualche mese più
tardi al Museo del Ceramico, durante la visita guidata di un gruppo di
tedeschi, fu trafugata una tavoletta di argilla a figure nere raffigurante la
deposizione di un defunto. Kurt Gebauer, responsabile del gruppo, “non ritenne
necessario né suo dovere di collega avvertire il direttore del Museo per un
atto tanto grave”.
Un blog dedicato alla cultura greca, nel senso più ampio del termine. Dall'archeologia alle culture urbane passando per la gastronomia, la storia, la geografia, la letteratura, la danza, il teatro, la musica, la religione, i modi di sentire e di vedere la vita.
mercoledì 26 ottobre 2016
domenica 2 ottobre 2016
150 ANNI DI MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI ATENE
giovedì 19 maggio 2016
RENZO PIANO: L'ARCHISTAR ITALIANO AD ATENE
Al nutrito gruppo di archistar che hanno lavorato nella capitale ateniese (Bernard Tschumi, Mario Botta, Eero Saarinen, Santiago Calatrava ecc.) si è aggiunto Renzo Piano. Il progetto del Centro culturale Stavros Niarchos, che reca la firma dell'architetto genovese, è in dirittura d'arrivo e la stampa greca ha fatto circolare le prime foto dell'interno del complesso. Il Centro culturale Niarchos, costruito a ridosso del mare nella municipalità di Kallithea, a sud della capitale, promette di rivoluzionare la cartina culturale di Atene arricchendola con un teatro dell'opera di modernissima concezione e con la nuova sede della Biblioteca Nazionale (la sede storica ottocentesca ospiterà soltanto eventi e la collezione di manoscritti). Impressionanti i numeri del progetto, ispirato ai principi dell'architettura ecosostenibile: il teatro principale, grande 33mila mq, ospiterà 1400 posti, quello sperimentale 400, mentre la Biblioteca di 24mila mq potrà accogliere fino a un milione di volumi. Il tutto in un giardino mediterraneo di circa 145mila mq con tanto di collina artificiale. La Fondazione Niarchos, che ha finanziato l'opera, ha già annunciato che non farà mancare il suo sostegno economico agli enti coinvolti neppure nella delicata fase di trapasso dalle vecchie alle nuove sedi. In particolare il trasporto di quasi 900mila volumi dal centro di Atene alla nuova sede richiede un notevole sforzo organizzativo, tenuto conto della fragilità di molti libri storici. L'inaugurazione del centro è prevista per il 2017 e segnerà l'inizio di una nuova epoca nella storia culturale della capitale greca.
Di seguito alcune foto del Centro culturale (il copyright appartiene agli autori).
Belvedere
Biblioteca
Biblioteca
Biblioteca
Esterno con laghetto artificiale
Giardini
Opera
Opera
Opera
Punto di osservazione
martedì 19 aprile 2016
LA BIBLIOTECA DI ARISTOTELE
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Foto area del Liceo di Aristotele, Atene |
Che cosa
conteneva la biblioteca personale di Aristotele? È la domanda a cui cerca di
rispondere lo storico del libro Konstantinos Staikos in un avvincente saggio
intitolato, appunto, “La biblioteca di Aristotele” (in greco Αριστοτέλους βιβλιοθήκη). Il “maestro di
color che sanno” fu uno dei massimi collezionisti di libri dell’antichità ed è
considerato, tra le altre cose, l’inventore della biblioteca così come la
conosciamo oggi: suddivisa per autori e per argomenti. La sua scuola, presso il
ginnasio Liceo sulle rive dell’Ilisso (oggi nel cuore di Atene, nell’antichità
in aperta campagna), conteneva centinaia di libri e altrettanti doveva possederne
lo Stagirita, fatto che lo colloca tra i massimi bibliofili di tutti i tempi. Del
resto proprio a un discepolo del Liceo, Demetrio del Falero, si deve la
fondazione della biblioteca di Alessandria, a tutti gli effetti una istituzione
di stampo aristotelico. Staikos, analizzando gli scritti superstiti di
Aristotele e le testimonianze dei contemporanei, e talora ricorrendo al fiuto
di un detective culturale, si è proposto appunto il compito di ricostruire la
fisionomia di questa biblioteca unica al mondo. Il nucleo era costituito,
probabilmente, dai libri del padre di Aristotele, Nicomaco, medico personale del
re di Macedonia Aminta. Nicomaco era a sua volta scrittore di trattati di
medicina e con ogni probabilità possedeva anche opere anteriori alla sua epoca,
che utilizzava per le sue terapie. Aristotele, allora giovanissimo, seguiva il
padre nella sua professione ma contemporaneamente andava formandosi la
vocazione filosofica maturata verso i diciassette anni, nel segno del
platonismo. Dal che si arguisce, sostiene Staikos, che Aristotele doveva
possedere tutti i Dialoghi di Platone, procuratigli verosimilmente da Prosseno, il suo maestro e a sua volta discepolo di Platone. Segue il trasferimento dello Stagirita ad
Atene, l’ammissione all’Accademia e in seguito la fondazione della
sua scuola, secondo il principio per cui “amo Platone ma la verità l’amo di più”.
Nel Liceo Aristotele procedette ragionevolmente alla raccolta di tutti i
trattati scientifici delle epoche precedenti, indispensabili per quella
sistematizzazione di tutto lo scibile che è un tratto saliente di Aristotele.
Quindi opere sul regno animale e minerale, sui corpi celesti, opere
scientifiche eccetera che erano state prodotte in gran quantità sin dai tempi
dei presocratici. Al culmine della sua ricerca egli pose l’uomo, e in
particolare l’uomo greco, che, nonostante la posizione privilegiata nel creato,
viene analizzato con altrettanto distacco scientifico. “L’uomo è un
animale che vive nelle polis” afferma il filosofo prima di passarne in rassegna
tutte le manifestazioni peculiari: la giustizia, l’organizzazione sociale, la
fisiologia, la costituzione delle città-stato, la letteratura e via discorrendo.
A proposito dell’importanza della parola scritta per Aristotele Staikos afferma: “Aristotele
aveva letto tutta la produzione letteraria e saggistica greca precedente,
soffermandosi in particolare sui Sofisti, intellettuali-maestri che, in cambio
di lauti compensi, promettevano ai clienti di appropriarsi rapidamente del
sapere”. Aristotele attacca i Sofisti, non diversamente dal suo maestro
Platone, e fonda il sapere su una rigorosissima disciplina di ricerca, valida
ancora oggi, basata innanzitutto sulla precisione terminologica e sulla definizione precisa delle questioni da affrontare. Insomma, con ogni probabilità
Aristotele è stato l’unico essere umano della storia a potersi vantare di aver
letto tutti, o quasi tutti, i libri prodotti all’interno della sua tradizione culturale. Una cosa del genere, forse, non l'avrebbe immaginata neppure Borges.
venerdì 15 aprile 2016
NAPOLEON LAPATHIOTIS: SNOBISMO E DECADENZA NELL'ATENE TRA LE DUE GUERRE
Nell’Atene degli
anni Venti ogni apparizione pubblica del poeta, narratore, giornalista,
traduttore e polemista Napoleon Lapathiotis era un evento mondano. Figlio di
Leonidas Lapathiotis, un alto ufficiale dell’esercito greco e uomo politico di
vedute liberali, sin da molto giovane Napoleon non ebbe alcun problema ad
adottare uno stile di vita ritenuto scandaloso dai benpensanti. I suoi
familiari lo avevano soprannominato “pipistrello”, perché aveva l’abitudine di
vivere di notte più che di giorno, mentre la stampa conservatrice ne
stigmatizzava l’arte che riecheggiava i motivi e le atmosfere di Oscar Wilde.
Della sua omosessualità, del resto, Napoleon non fece mai mistero. Ai suoi
amanti egli dedicava roventi poesie d’amore con tanto di acrostico, alla
maniera dei contaci bizantini, e per una di queste, dal titolo “Bevevo dalle
tue labbra” (pubblicata su “Anemoni”, che si può forse considerare la prima
rivista queer in Grecia), si chiese persino l’intervento della giustizia. Dopo
la grande catastrofe in Asia Minore del 1922 e la nascita del movimento
socialista, Napoleon si dichiarò devoto alla causa dei proletari di tutto il
mondo. Non per questo, però, egli interruppe la sua vita spericolata. Nel 1927
chiese all’arcivescovo di Atene di essere sbattezzato e nello stesso anno lo
scrittore Jorgos Tsukalàs nel romanzo “Stanco d’amore” lo adombra nel suo
protagonista, un poeta omosessuale dedito alla droga e alle notti brave.
Lapathiotis fu, in un certo senso, un alter ego di Kavafis. Se ad accomunarli
c’è l’omosessualità e l’attrazione per i bassifondi urbani, decisamente diverso
è l’atteggiamento rispetto alla società. Ligio ai suoi doveri di cittadino e di
funzionario pubblico, e personalità assai schiva, Kavafis, interventista,
polemico e scandaloso, fedele all’immagine anticonformista del poeta dannato,
Lapathiotis. Dal punto di vista artistico, di quest’ultimo spiccano i racconti
ispirati alla letteratura gotica e fantastica, in molti dei quali sconcerta la
modernità dello sguardo cinematografico e l’interazione inquietante tra l’uomo e
le macchine. Qualche anno fa il musicista Nikos Xydakis e la grande cantante
Eleftheria Arvanitaki hanno rispettivamente messo in musica e interpretato una
delle poesie più famose di Lapathiotis, dedicata al suo amante Kostas Ghikas.
Il titolo è “Erotikò”. Di Napoleon Lapathiotis la casa editrice ateniese Eora
sta per pubblicare in italiano una piccola antologia dei suoi racconti più
interessanti.
Ed ecco il video di "Erotikò" nell'interpretazione di Eleftheria Arvanitaki.
mercoledì 13 aprile 2016
MISIRLOU: UN REBETIKO DI FAMA MONDIALE
Agli inizi degli anni Sessanta il musicista americano Dick Dale, il “re
della chitarra surf” (v. video in alto), ancora all’inizio della sua carriera fece conoscere al
pubblico un brano che sembrava fatto apposta per metterne in evidenza lo
straordinario talento artistico. Il brano, intitolato “Misirlou”, era basato su
una vecchia canzone rebetica la cui prima esecuzione nota avvenne ad Atene nel 1927. Misirlou, in turco, vuol dire “donna egiziana” ma
anche, genericamente, di fede musulmana. Il brano ebbe un grande successo tanto
che molti altri artisti, in seguito, lo riproposero lo reinterpretarono ciascuno alla sua maniera. “Misirlou” conobbe una nuova giovinezza
grazie al film “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino, che ne fece una delle
melodie forse più note al mondo. La versione originale greca del 1927 è
la seguente:
Oggi “Misirlou” è un caposaldo,
oltre che del rebetiko, anche della musica popolare israeliana e libanese (Dick
Dale era appunto di origini libanesi), e naturalmente della surf music.
lunedì 11 aprile 2016
IL MUSEO DI TEGEA
Una sala del Museo archeologico di Tegea
Il 9 aprile scorso si è svolta a San Sebastian, in Spagna, la cerimonia di premiazione dei migliori musei europei a cura del Forum europeo dei musei e del Consiglio d'Europa. Una menzione speciale è stata riservata al Museo archeologico di Tegea, che da due anni ha riaperto le porte al pubblico dopo alcuni anni di ristrutturazione. Secondo la motivazione dei giurati il museo "situato nel cuore dell'Arcadia, ha come tema centrale la genesi e lo sviluppo della polis, la città-stato. Si tratta di un museo che pone il visitatore al centro della concezione museale e incorporando tecnologie digitali innovative, propone una coerente strategia interpretativa e una narrazione ben strutturata". Il museo, che si trova nel villaggio di Alea, a pochi chilometri da Tripoli, laddove sorgeva il tempio di Atena Alea, opera di Skopas, è ospitato in un edificio di pietra dei primi del Novecento ed è uno dei principali musei regionali greci. Oltre all'area archeologica e al museo, nel parco archeologico è visitabile anche la chiesa di Episkopì (Palaià Episkopì). Risalente al X secolo, è stata costruita sopra il teatro antico di Tegea, e con i materiali da questo provenienti. In epoca bizantina fungeva da chiesa cattedrale mentre oggi, il giorno di Ferragosto, è al centro della grande festa dedicata alla Madonna essendo appunto dedicato alla Dormizione della Vergine.
La Chiesa della Dormizione della Vergine
Il museo di Tegea può essere visitato anche virtualmente all'indirizzo www.tegeamuseum.gr
mercoledì 6 aprile 2016
IL PIREO IERI E OGGI
L'ex albergo a ore Loux, in Odos Filonos al Pireo, attualmente in fase di ristrutturazione
Il primo porto di Atene fu il Falero. La decisione di spostare lo scalo marittimo principale al Pireo appartiene a Temistocle, che, all’indomani della battaglia di Maratona, nella conformazione geografica di Akte e di Kantharos (rispettivamente il promontorio e l’insenatura naturale che protegge come in un abbraccio le navi) scorse un vantaggio difensivo in caso di attacco nemico. In breve tempo il Pireo divenne il maggior porto del Mediterraneo. Collegato ad Atene da una strada lunga circa 10 chilometri (di cui l’attuale Odos Pireos ricalca il tracciato) e protetto dalle lunghe mura fatte erigere anch’esse da Temistocle, il Pireo il primo impianto urbanistico a griglia del mondo, disegnato da Ippodamo di Mileto. Grande era il contrasto con il centro di Atene, caratterizzato, secondo la testimonianza degli antichi, da un notevole disordine edilizio: in questo senso il Pireo si presentava come la punta di diamante dell’impero marittimo ateniese e un lussuoso biglietto da visita del suo prestigio internazionale. In età ellenistica per Atene e il suo porto ebbe inizio una relativa decadenza, anche se essi continuarono a ricevere migliaia di giovani provenienti soprattutto dall’Italia, attratti dalla storia e dai centri culturali dell’Attica. In età bizantina continuò il processo di decadenza di Atene e, più in generale, della Grecia meridionale. Il Pireo conobbe un certo risveglio soltanto nel Duecento, quando i duchi franchi di Atene (giunti in Grecia con i crociati) gli insufflarono nuova vita e un nuovo nome, Porto Leone, da una statua di marmo che i veneziani trafugarono assieme a molte altre opere d’arte greca antica e bizantina, e di cui oggi è possibile ammirare una copia in situ (l’originale si trova appunto a Venezia). Le attività portuali ricominciarono a caratterizzare la fisionomia del Pireo (in greco comune Pireàs e a volte, popolarmente, Pereas, in greco dotto Pireèfs) a partire dalla fine dell’Ottocento, quando gli armatori delle isole dell’Egeo decisero di trasferirsi a due passi da Atene, capitale dello Stato greco dal 1832. Il Pireo conobbe da allora una crescita lenta ma costante. Il primo choc demografico si ebbe nel 1922 dopo l’arrivo in massa dei profughi greci dall’Asia Minore. Nel giro di poche settimane i suoi circa 35mila abitanti divennero quasi il doppio creando gravi problemi sociali e abitativi. I profughi, inizialmente collocati in una marea di baracche, ben presto iniettarono nuova linfa al porto e contribuirono alla sua crescita economica soprattutto nel campo della marina mercantile, del commercio e dell’industria chimica e del tabacco. Come ogni porto che si rispetti, anche il Pireo conobbe lo sviluppo di quartieri a luci rosse che si rivolgevano soprattutto ai marinai, locali e di passaggio. Per un certo periodo la prostituzione si svolse soprattutto sulle strade e frequenti erano le risse, anche sanguinose, tra i vari protettori, uno dei quali, un certo Mapas (qualcosa come "brutto ceffo"), decise un giorno di sfidare il più potente capobanda della zona, Konstantinos Konstantinidis soprannominato "Kefalas" ("testone"). I bravacci di Mapas entrarono nella baracca di Kefalas, che aveva perso i sensi, a quanto pare, per una overdose di hashish, e lo freddarono nel sonno. I bassifondi del Pireo, dove tra l’altro si è sviluppata anche la storia più recente del rebetiko, dopo gli inizi in Asia Minore, hanno continuato a essere palcoscenico di prostituzione e malavita fino agli anni Settanta, quando il sindaco nominato dalla giunta dei Colonnelli compì una vasta opera di bonifica. Gli ex quartieri a luci rosse (tra cui la leggendaria Troumba) divennero sede di moderni uffici di armatori e compagnie marittime, mentre il turismo di massa, greco e straniero, e il traffico commerciale hanno fatto del Pireo uno dei primi porti d’Europa. Alla Troumba, tuttavia, qualche traccia sbiadita di quel passato è rimasto. In uno scenario kavafiano, che si snoda intorno all’ex albergo a ore Loux (vedi foto) e alla chiesa di San Spiridione (lungo l’asse di Odos Filonos), alcuni sex-shop, qualche bar dalla luce soffusa e uno degli ultimi cinema a luci rosse della Grande Atene richiamano le atmosfere anteguerra. Nelle ultime settimane il Pireo ha dovuto affrontare un’altra emergenza, quella dei profughi in fuga dai focolai di guerra del Medioriente: ancora una volta è da qui che parte la speranza di chi ha perduto tutto ma ha una grande voglia di ricominciare.
sabato 2 aprile 2016
ATENE, LA CITTA' DEL TEATRO
Non è il caso di scomodare ogni volta la comoda chiave interpretativa dell'antichità per spiegare le ragioni dei fenomeni culturali della Grecia contemporanea. Il teatro ne è un classico esempio. Ricorrere a Eschilo, Sofocle ed Euripide, infatti, non è abbastanza per capire l'amore dei greci in generale, e degli ateniesi in particolare, per questa forma d'arte nata, peraltro, proprio sul suolo attico. Piuttosto, l'attitudine teatrale dei greci di oggi va ricercata nella "teatralità" di numerose manifestazioni culturali bizantine (compresa la liturgia ortodossa) e nella persistenza di una cultura orale che continua a giocare un ruolo di grande importanza nel mondo greco. Che poi tale oralità affondi le sue radici nel mondo antico, e che la teatralità bizantina risalga, in ultima analisi, all'amore per lo spettacolo dei greci del periodo ellenistico è stato messo in luce da numerosi studiosi ed etnografi. Del resto anche la lingua ce lo dimostra. In greco moderno canzone si dice "tragudi", derivante da "tragodion", diminutivo di "tragodia", ossia "tragedia". E questo perché nei teatri dell'età ellenistica si usava proporre al pubblico soltanto le parti cantate delle antiche tragedie, quelle che oggi chiameremmo arie, all'interno di recital basati sulle performance di artisti popolari tanto quanto le popstar di oggi. Questo allora può essere il punto di partenza del trionfo teatrale di Atene, cui la rivista specializzata "Athinorama" ha appena dedicato un articolo in vista della fine della stagione artistica 15-16 (che in Grecia tradizionalmente coincide con la Settimana Santa ortodossa). Questi i numeri del trionfo relativi al 2015:
1228 sono stati in totale gli spettacoli messi in scena
168 commedie tradizionali e 40 stand-up comedy
136 sono stati i debutti nel solo mese di dicembre
172 sono stati i debutti nel primo bimestre del 2016
314 sono stati gli spettacoli per ragazzi
36 sono stati gli spettacoli di danza contemporanea
104 sono stati i monologhi
In tutto, quindi, nella stagione 15-16 ad Atene sono stati portati in scena ben 1542 spettacoli in 287 teatri (nel 2014 erano stati 1447, nel 2013 1050), con punte di diamante le produzioni del Teatro nazionale di Grecia, dell'Onassis Cultural Centre e dell'Opera nazionale di Atene, che sta per trasferirsi nella nuova sede disegnata da Renzo Piano. Il teatro, dunque, come leva di sviluppo, anche economico, in periodi di crisi? Secondo "Athinorama", ad Atene è possibile.
1228 sono stati in totale gli spettacoli messi in scena
168 commedie tradizionali e 40 stand-up comedy
136 sono stati i debutti nel solo mese di dicembre
172 sono stati i debutti nel primo bimestre del 2016
314 sono stati gli spettacoli per ragazzi
36 sono stati gli spettacoli di danza contemporanea
104 sono stati i monologhi
In tutto, quindi, nella stagione 15-16 ad Atene sono stati portati in scena ben 1542 spettacoli in 287 teatri (nel 2014 erano stati 1447, nel 2013 1050), con punte di diamante le produzioni del Teatro nazionale di Grecia, dell'Onassis Cultural Centre e dell'Opera nazionale di Atene, che sta per trasferirsi nella nuova sede disegnata da Renzo Piano. Il teatro, dunque, come leva di sviluppo, anche economico, in periodi di crisi? Secondo "Athinorama", ad Atene è possibile.
sabato 27 febbraio 2016
KYRIAKOS PITTAKIS: ALLE RADICI DELL'ARCHEOLOGIA
Nel post del 20 gennaio di Voci dall'agorà si è ricordato Heinrich Schliemann, il padre dell'archeologia moderna, la cui epopea rappresenta, oltre che un'ardita avventura dello spirito, anche un'avvincente storia personale. Ma a lavorare in Grecia non sono stati soltanto archeologi stranieri. Determinante, nella conservazione del patrimonio archeologico greco, fu l'azione dei greci stessi, che con le antichità vivevano (e vivono) a fianco a fianco. Uno dei pionieri dell'archeologia greca fu l'ateniese Kyriakòs Pittakis (1798-1863), tra i fondatori della Società archeologica greca (1833) e primo sovrintendente alle antichità dello Stato neogreco nel 1836, anno in cui fu anche decisa la fondazione del Museo dell'Acropoli. Lo Stato greco contava appena quattro anni di vita (e venticinque ne erano trascorsi dall'inizio della guerra d'indipendenza, nel 1821). Pittakis fu autore di un libro topografico sull'Attica antica (1835) e raccolse numerose epigrafi, che costituirono la base della raccolta attica del Corpus inscriptionum graecarum (completata nel 1877). L'architetto tedesco Leo fon Klenze, giunto in Grecia al seguito della corte bavarese di re Ottone, così descrive la passione di Pittakis per il suo lavoro e la situazione disperata in cui gli amanti delle antichità si trovavano a lavorare: "Quando vedeva un estraneo avvicinarsi a un reperto, saltava di ramo in pietra per stornare il pericolo... Soltanto grazie al suo amore smisurato ed entusiasta per l'archeologia quest'uomo straordinario riusciva ad affrontare le difficoltà pressocché insuperabili inerenti al suo lavoro. Che si trattasse di una fatica di Sisifo me ne rendevo conto anch'io. Poco tempo prima del mio arrivo, un inglese spezzò in due a martellate, sotto lo sguardo di Pittakis in persona, una delle meravigliose sculture, da poco scoperte, che ornavano il fregio del Partenone. Un'altra volta invece corse a chiedere il mio aiuto: alcuni ufficiali di una fregata americana di stanza al Pireo erano saliti sull'Acropoli con l'intenzione di tagliare e impacchettare le splendide sculture dell'Eretteo per portarle via con sé. Tale atteggiamento era talmente diffuso che dei monumenti dell'Acropoli, di questo passo, c'era il pericolo che non restasse più niente. Ma più Pittakis, Ross e io ce ne preoccupavamo, meno sembravano preoccuparsene le potenze straniere. Un rappresentante di queste ultime ebbe modo di dirmi una volta, a Nafplio, che un brigantino austriaco era approdato qualche tempo prima all'isola di Delos, che com'è noto, è disabitata. Ha aggiunto, in tono trionfalistico, che i circa quaranta marinai sbarcati, munitisi di tutti gli attrezzi e dei mezzi di trasporto necessari, hanno cominciato a caricare a bordo tutti i reperti che trovavano. Infine, salpata l'ancora, sono tornati a casa loro".
sabato 6 febbraio 2016
LA RIVOLUZIONE DIMENTICATA
Il titolo del post si ispira al saggio di Lucio Russo pubblicato da Feltrinelli alcuni anni orsono. La "rivoluzione dimenticata" è quella tecnologica che ebbe luogo nel mondo ellenistico (IV-I sec. a.C.). Intorno al Museo di Alessandria, ma anche a Pergamo e ad Antiochia, le nuove città del mondo greco (che si affiancavano ad Atene, ancorata a una concezione più teoretica della cultura) fiorirono scienziati, architetti e ingegneri, che riuscirono a costruire automi e altri congegni sofisticati basati sull'energia propellente del vapore. Polibio descrive persino una sorta di automobile che funzionava con il vapore acqueo, altre fonti parlano di automi volanti mentre a tutti noto è il Meccanismo di Anticitera, spesso ritenuto il primo "computer" del mondo antico (conservato al Museo Archeologico di Atene). Finora la storiografia scolastica ripeteva che il progresso tecnologico del periodo ellenistico non ebbe seguito sia a causa della mancanza di energia propellente sia per una questione di mentalità, in quanto i greci in questi congegni avrebbero visto soprattutto dei giocattoli. Lucio Russo, alla luce di una rilettura delle fonti, rileva invece che la "rivoluzione industriale ellenistica" non ebbe luogo soprattutto a causa della conquista romana, che decapitò letteralmente l'intellighenzia greca e dissolse gli Stati ellenistici trasformando intellettuali, ingegneri e scienziati in professori di lingua greca per i rampolli delle famiglie gentilizie romane, interessate più al prestigio esteriore che ai contenuti della cultura. Non tutto però andò perduto. A Costantinopoli, capitale dell'impero romano d'Oriente, gli scienziati greci costruirono portentosi marchingegni che lasciavano a bocca aperta le ambascerie straniere: troni semoventi, uccelli meccanici, automi a forma di leone e alberi metallici che si coprivano di foglie. Per non dimenticare il misterioso "fuoco greco" ("υγρό πυρ" ossia fuoco liquido), che per secoli protesse la Città dagli attacchi dei nemici. Ma anche di questa tecnologia (questa sì avente un carattere soprattutto ludico) nulla rimase: nel 1204 i Crociati distrussero il Sacro Palazzo imperiale e incendiarono la ricchissima biblioteca annessa, condannando una volta di più all'oblio questa "rivoluzione". Oggi il museo della Tecnologia greca antica, nella località di Katàkolon (Elide, Peloponneso) fa rivivere gli splendidi congegni ellenistici mediante una serie di ricostruzioni basate sulle opere e sulle testimonianze letterarie superstiti (il video si riferisce alla "ancella automatica" progettata da Filone di Bisanzio). Il Museo ha di recente organizzato mostre itineranti ad Atene, a Basilea e a Monaco suscitando l'interesse del vasto pubblico nei confronti della "rivoluzione dimenticata".
venerdì 29 gennaio 2016
NIKOS SKALKOTAS: DODECAFONIA E TRADIZIONE
Il compositore Nikos Skalkotas nacque a Calcide (Eubea) l'otto marzo 1904. Originario di una famiglia di musicisti, nel 1918 si diplomò in violino al Conservatorio di Atene. Nel 1921 grazie a una borsa di studio si trasferì a Berlino per approfondire le sue conoscenze musicali. In Germania divenne discepolo del musicista di avanguardia Arnold Schönberg, che ebbe modo di stimare il talento di Skalkotas. Il periodo berlinese fu assai fecondo per Skalkotas, che compose oltre 70 opere, quasi tutte perdute. Per lo più si trattava di composizioni nel solco della musica dodecafonica, assunta tuttavia in modo personale e originale. Nel 1933, nel mezzo di una profonda crisi personale e artistica, e seguendo le orme del suo maestro, che emigrò negli USA per scampare alla Germania nazista, fece ritorno in Grecia, dove tuttavia non trovò l'accoglienza sperata. I circoli musicali ateniesi, all'epoca, erano dominati da personalità del calibro di Manolis Kalomiris e Dimitris Mitropoulos, che nella persona di Skalkotas videro un temibile rivale. Riuscì tuttavia a essere assunto come violinista al Teatro Lirico di Atene e, forse per reagire alle frustrazioni professionali, cominciò un febbrile lavoro di composizione, che si concluse nel 1945. Al termine di questo decennio oltre 100 opere erano state composte, in uno stile del tutto personale. Skalkotas morì nel 1949, a soli 45 anni. Da allora ha avuto inizio la riscoperta dell'artista, grazie ai suoi amici e ammiratori, riuniti nella Società degli amici di Skalkotas, che si sono assunti il compito di diffonderne le oltre 170 opere rimaste, la gran parte delle quali composte in un sistema dodecafonico rivisitato in chiave personale. La parte restante della sua opera consiste in composizioni più semplici e ariose. Tra queste spicca il ciclo delle "36 Danze Greche per Orchestra" in cui elementi della musica greca popolare vengono riproposti alla luce delle avanguardie musicali della prima metà del Novecento (in modo analogo, i poeti della Generazione degli anni Trenta riscoprirono la "verità greca" alla luce della poetica surrealista). Skalkotas è oggi un compositore molto apprezzato anche all'estero: i solisti dell'Orchestra Filarmonica di Torino, per esempio, ne hanno proposto le Danze greche nell'ambito dell'Expo di Milano, nel giugno del 2016. Il video che apre questo post propone appunto una delle danze greche, lo tsamikos.
mercoledì 20 gennaio 2016
SCHLIEMANN: L'EPOPEA DEL PADRE DELL'ARCHEOLOGIA
L’epopea di Heinrich Schliemann è a tutti nota. Nato nel 1822 in Germania e morto a Napoli nel 1890, sin da bambino, leggendo i poemi omerici, concepì l’idea di riportare alla luce la mitica Troia e dunque di confermare, per via archeologica, il racconto di Omero. Tutta la sua vita e i profitti derivanti dalla sua attività di mercante, furono spesi per la realizzazione di questo sogno che ad alcuni sembrava una semplice follia. Sebbene in Germania i dotti dell’epoca gli riservassero molta diffidenza (al contrario di quanto accadeva nel mondo anglosassone) è proprio il Neues Museum di Berlino che ha deciso di dedicargli una mostra per il 125esimo anniversario dalla morte. Nella mostra, dal titolo “Tod in Neapel” (aperta fino al 30 giugno 2016), sono esposti numerosi reperti provenienti soprattutto dalla Grecia, oltre che rari documenti di archivio. In Grecia Schliemann fu attivo soprattutto a Micene, ove scoprì le vestigia della civiltà micenea. La cosiddetta maschera di Agamennone, conservata oggi al Museo archeologico di Atene, è uno dei reperti archeologici più famosi del mondo. Compì anche scavi a Itaca, dove credette di scoprire il “palazzo di Odisseo”, e incaricò l'architetto tedesco Ernst Ziller di realizzare per lui una lussuosa residenza nel centro di Atene, il "Palazzo d'Ilio" (Iliou Melathron), che oggi ospita il Museo Numismatico (v. foto). Schliemann si inserì pienamente nella società greca del tempo contraendo matrimonio, nel 1869, con Sofia Engastromenou. La coppia ebbe due figli, Andromaca e Agamennone. La primogenita fu moglie di Leon Μ. Melàs, rampollo della nobile famiglia dei Melàs, e celebre uomo politico della fine dell’Ottocento, amico, tra l’altro, di Konstantinos Kavafis. Alberto Savinio, il fratello di Giorgio de Chirico, che ad Atene nacque, non nutriva particolare stima per Agamennone, che era suo vicino di casa: la casa natale di Andrea de Chirico, infatti, sorgeva proprio di fronte al Palazzo d’Ilio e accanto ai maneggi reali, laddove oggi si trova il complesso CityLink (realizzato alla fine degli anni Venti). Le spoglie di Schliemann sono oggi conservate al cimitero monumentale di Atene, dove furono traslate dopo la sua morte in Italia.
domenica 17 gennaio 2016
UN MUSEO INTERATTIVO DEDICATO A PLATONE
Ad Atene hanno vissuto e insegnato alcune delle massime menti filosofiche dell'umanità. Socrate, Platone, Aristotele, e poi i Cinici, gli Epicurei, gli Stoici hanno trasformato Atene nella "Scuola dell'Ellade" ma anche in un luogo ricchissimo di memorie, che ancor oggi affiorano, a volte, nella odierna toponomastica. Un quartiere dell'Atene di oggi, per esempio, prende il nome dall'Accademia, il ginnasio in cui Platone fondò la sua scuola filosofica. Da qualche tempo l'Accademia di Platone, situata ai margini degli itinerari turistici ufficiali della capitale, conosce una nuova stagione di vitalità grazie alla Fondazione della grecità della diaspora (Ίδρυμα Μείζονος Ελληνισμού), che ha finanziato e progettato il Museo interattivo dedicato al grande pensatore, e al Comune di Atene, che ne ha promosso la realizzazione. Aperto tutti i giorni dalle 9 del mattino alle 4 del pomeriggio (lunedì riposo), il Museo illustra, mediante l'impiego di sofisticati software, la personalità e la dottrina di Platone, ma anche la storia del quartiere della moderna Atene che ospita l'area archeologica dell'Accademia. Nella prima sala il visitatore fa conoscenza con la personalità storica di Platone e con l'area archeologica. La seconda sala è dedicata all'opera e al metodo filosofico di Platone, di cui viene messa in luce l'attualità del pensiero e della dottrina. Nella terza sala, infine, il visitatore potrà scoprire in che modo il platonismo ha influenzato fino a oggi la cultura occidentale (e non solo). Di particolare impatto è la rappresentazione del celebre "mito della caverna", che il visitatore è invitato a vivere in prima persona. Al termine, scoperto il mondo di ombre della realtà immanente, il visitatore è pronto a uscire alla luce del sole attico, simbolo della verità e della realtà intelligibile.
Info: www.plato-academy.gr
domenica 10 gennaio 2016
NEW YORK TIMES: QUEST'ANNO NON PERDETEVI SALONICCO
Come ogni anno, anche per il 2016 il New
York Times ha stilato la classifica dei posti da non perdere. Come tutte le
classifiche, anche questa lascia il tempo che trova: i viaggi sono
un’esperienza personale e a volte basta vedere con occhi nuovi il proprio
quartiere, scoprire quella cabina telefonica mai notata prima o un dettaglio
architettonico di cui non ci eravamo mai accorti, per poter affermare di aver
compiuto il giro del mondo – del proprio mondo. Resta comunque il valore dei
suggerimenti: il mondo è grande e a volte fare un po’ d’ordine risulta utile. Nella
classifica del NYT scopriamo allora che una delle destinazioni imperdibili del
2016 (soprattutto dal punto di vista gastronomico) è Salonicco, la “capitale
della Grecia del nord”. Salonicco, l’antica Tessalonica (i greci la chiamano
ancora così, Θεσσαλονίκη), forse più di Atene, ci porta in contatto con
l’anima della Grecia moderna, profondamente segnata dall’esperienza bizantina,
dal dramma dei profughi dell’Asia Minore e dalla vicinanza con i Balcani. Così
a Salonicco (505 chilometri da Atene, percorribili in autostrada, ferrovia e
aereo) il visitatore potrà scoprire la ricchezza della Macedonia di Filippo e
di Alessandro Magno, i capolavori d’arte e architettura della Rinascenza dei
Paleologi, i tesori del Museo Bizantino. Ma anche immergersi nella storia e
nella cultura dei profughi greci del Ponto e della Cappadocia, che dopo lo
scambio di popolazione del 1922 proprio qui trovarono una seconda casa.
Retaggio visibile soprattutto nella gastronomia, nelle melodie, nei santuari,
che i profughi si sono portati dietro nel disperato tentativo di salvare quanto
più era possibile della loro storia e della loro tradizione. Ma Salonicco offre
anche la possibilità di esplorare le pieghe di eventi che, sebbene determinanti
per la civiltà occidentale, non sempre sono debitamente evidenziati. Qui fu
fondata una delle prime comunità cristiane su suolo europeo (ricordiamo le
Epistole di san Paolo ai Tessalonicesi), qui nacquero Nazim Hikmet e Kemal
Atatürk (la sua casa natale ospita oggi il consolato turco), e qui fiorì la
comunità ebraica dei Sefarditi, scacciati nel 1492 dalla Spagna di Ferdinando e
Isabella. Per gli ebrei di tutto il mondo Salonicco è la Gerusalemme dei
Balcani, meta incessante di pellegrinaggio, anche se l’occupazione nazista ha
purtroppo decimato la presenza di questa antichissima comunità. Da notare
infine che nella cosmopolita, multiculturale Salonicco hanno lavorato numerosi
architetti stranieri. Tra questi si ricordano anche due italiani, Vitaliano
Poselli e Pietro Arrigoni, le cui creazioni sono ancora oggi visibili nel
tessuto urbanistico della città, che resta, a detta dei greci stessi, una delle
più belle del Paese.
Ed ecco le parole dell’articolista del NYT
in merito a Salonicco:
Greece’s second-largest
city is first in food.
The young professionals of this northern Greek city
have faced the country’s high levels of unemployment in an unusual way: They
opened restaurants that put a modern twist on traditional Greek, Slavic and
Ottoman flavors. Among them is Sebrico,
run by a collective of amateur chefs who focus on local ingredients served at
bargain prices. The team at Roots experiments
joyfully with vegetarian cuisine — unusual in meat-loving Greece. Estrella, one of the city’s many stylish
new cafes, reinvents traditional pastries, filling croissants with
orange-scented cream. Encouraged by a vibrant student population and a
visionary mayor, Greece’s second-largest city has become a capital of cheap
eats.Nella foto particolare della decorazione musiva della Rotonda (o Mausoleo di Galerio), riaperta al pubblico lo scorso mese di dicembre.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-JlXxU5487HKRN0SAiX6T-GDbao-dAsohBiZ2fnvUo6jIRuJVTqexpPKQvq1ZnqSPyrBYGS630yptpMszYtnoxMjynj8v381On0Poq-vatKgz47h0B6iQpeVwfZrGuLZPiBU-YH7b3ZrC/s400/3818123107_da60aca847_z.jpg)
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